Charles Simic

Sentimenti d'autore.
Qui puoi postare gli scritti famosi che più ti hanno emozionato... L'ultimo TEMA PROPOSTO è "ACQUA"

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Charles Simic

Messaggio da Luca Necciai »

Le parole fanno l’amore sulla pagina come mosche nel caldo dell’estate e il poeta è solo lo spettatore divertito.
CHARLES SIMIC



UN SASSO

Càlati in un sasso,
io farei così.
Lascia che altri si facciano colomba
o digrignino i denti come tigri.
Mi basta essere un sasso.
All’esterno è un enigma:
nessuno sa come rispondere.
Ma fresco e quiete dev’esserci all’interno.
Anche se una mucca lo calca col suo peso,
anche se un bambino lo getta dentro un fiume;
il sasso affonda, lento, imperturbato,
fino al fondo,
dove i pesci bussano alla sua soglia
e vengono a origliare.
Ho visto scintille schizzar via
quando due sassi sono strofinati
forse là dentro non fa così buio;
forse c’è una luna che brilla
da chissà dove, spuntando magari dietro un colle –
un chiarore appena sufficiente a decifrare
quelle strane scritte, mappe stellari
sui muri interiori.


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LETTI DISFATTI


Amano le stanze ombreggiate,
le carte da parati consunte,
le crepe nel soffitto,
le mosche sul cuscino.
Se ti viene la tentazione di allungarti,
non essere sorpreso,
non farai caso alle lenzuola sporche,
al raschio delle molle arrugginite
mentre ti metti comodo.
La stanza è un cinema buio
dove si proietta
una pellicola sgranata in bianco e nero.
Un’immagine sfuocata di corpi svestiti
nel momento della dolce indolenza
che segue all’amore,
quando il più malvagio dei cuori
arriva a credere
che la felicità può durare per sempre.


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MACELLERIA

Qualche volta cammino tardi la notte e
mi fermo davanti a una macelleria chiusa.
C'è una luce sola nel negozio
come la luce in cui il forzato scava il suo tunnel.

Un grembiule pende dall'uncino:
il sangue lo macchia con la mappa
dei grandi continenti di sangue,
i grandi fiumi e oceani del sangue.

Ci sono coltelli che luccicano come altari
in una chiesa buia
dove portano lo storpio e l'imbecille
ad essere curati.

C'è un ceppo di legno dove vengono rotte ossa
ben raschiato - un fiume disseccato

fino al suo greto dove vengo nutrito,
dove profonda nella notte sento una voce.
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Luca Necciai
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Re: Charles Simic

Messaggio da Luca Necciai »

"... Senza volerlo, il lettore italiano lo accosterà ai grandi slavi a noi familiari: Herbert, Miłosz e, in particolare, la Szymborska. Accostamenti arbitrari, certo, ma non del tutto impropri, perché l'anima est-europea ha lasciato il segno anche qui: il marchio del profugo, dello scampato al grande mattatoio della Storia, del bambino messo in castigo dietro la lavagna che quasi senza accorgersene è felice della propria solitudine, di una preziosa diversità. E così sono la sciatteria che tutto banalizza, la vocazione al conformismo i nemici del suo cantare zingaro dagli ingredienti elementari e dal sentire affilato, divertito, perfetto come l'andare di un gatto."

Andrea Molesini,
postfazione del libro HOTEL INSONNIA
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Re: Charles Simic

Messaggio da Luca Necciai »

Viaggiare

Mi tramuto in un sacco.
Un vecchio stracciaiolo
mi porta fuori all'alba.
Ci trasciniamo curvi.

Ecco qui, dice, la cravatta blu,
un uomo l'ha scalata mentre gli stava al collo.
Ora lassù singhiozza
perché non sa come calarsi giù.

Ma io non dico niente, cosa può dire un sacco?

Ecco qui, dice, il cappotto.
Il suo nome è Achab, i suoi sono i nostri stracci.
È in cerca del sarto che lo ha fatto.
Vuole strappare via tutti i suoi fili neri.

Ma io non dico niente, cosa può dire un sacco?

Ecco qui, dice, un paio di stivali,
mentre andavano a fondo, mentre andavano sotto
la loro vita videro in un lampo,
dovunque andremo si aggrapperanno a noi.

Ma io non dico niente, cosa può dire
un sacco rigonfio di stoppa fino al collo?


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Paesaggio con grucce


Così tante grucce. Ora persino la luce del giorno
ne ha bisogno, persino il fumo che sale su. E le baracche –
una per cliente – che sene vanno
in fila indiana, con difficoltà,

dicevo, con un dannato sforzo...
e, dietro, gli alberi sul punto d'inciampare,
e le formiche sulle grucce giocattolo,
e il vento sulle grucce fantasma.

Non riesco a trovare pace qui intorno:
il pane sui suoi arti artificiali,
una bambola su una sedia a rotelle, senza testa,
e mia madre, proprio lei, che adopera i coltelli
come grucce mentre s'accoscia per pisciare.



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Occhi cuciti con gli spilli

Quanto sodo lavori la morte
nessuno lo sa quanto lunga
sia la sua giornata.
Le stira la biancheria
il consorte lasciato a casa.
Le belle figlie
le apparecchiano la tavola per cena.
I vicini giocano
a pinnacolo in cortile
o bevono la birra
seduti sui gradini. E la morte
frattanto, in città,
in angoli remoti cerca
qualcuno con una brutta tosse,
ma l'indirizzo è, chissà perché, sbagliato,
nemmeno la morte può scovarlo
fra tutte quelle porte sprangate.
E comincia a cadere la pioggia.
l'aspetta una lunga notte di vento.
Non ha nemmeno un giornale
per coprirsi il capo, nemmeno
un gettone per chiamare chi si consuma,
l'uomo assonnato che piano si spoglia
e nudo si distende sul letto
dal lato che spetta alla morte.


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Ragazzo prodigio

Sono cresciuto chino
su una scacchiera.

Amavo la parola scaccomatto.

Il che sembrava impensierire i miei cugini.

Era piccola la casa,
accanto a un cimitero romano.
I suoi vetri tremavano
per via di carri armati e caccia.

Fu un professore di astronomia in pensione
che m'insegnò a giocare.

L'anno, probabilmente, il '44.

Lo smalto dei pezzi che usavamo,
quelli neri,
era quasi del tutto scrostato.

Il re bianco andò perduto,
dovemmo sostituirlo.

Mi hanno detto, ma non credo che sia vero,
che quell'estate vidi
gente impiccata ai pali del telefono.

Ricordo che mia madre
spesso mi bendava gli occhi.
Con quel suo modo spiccio d'infilarmi
la testa sotto la falda del soprabito.

Anche negli scacchi, mi disse il professore,
i maestri giocano bendati,
i campioni, poi, su diverse scacchiere
contemporaneamente.



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Così

Di diavoli azzurri
la più azzurra progenie.
mia moglie.

Dissi,
come Pascal
mia mogli eccelle
nel contemplare abissi.

Le sue ginocchia
ancora ricordano
la scala di marmo
di una contessa russa.

Tempo addietro a Parigi
raccoglieva le cicche
fuori dai caffè alla moda
per suo padre, disoccupato.

O nel Nuovo Mondo,
nuda davanti all'arcigno
dottore e all'infermiera,
con un soffio al cuore.

Tuttavia infila
l'estremità di un filo nero,
inumidita di saliva,
nell'occhio immobile dell'ago,
dodici ore al giorno.
Una sarta sublime,
un duro mestiere per la schiena
e la vista.

Nelle buie domeniche d'inverno
arduo mettere a fuoco
lettere e parole straniere
sui libri di testo della scuola serale.

Orecchie delle pagine ripiegate con cura,
brani evidenziati,
tutti quelli su uomini linciati, incatramati di piume,
sui roghi delle streghe –

davanti a una tazza di caffè –
quello nero che fanno gli zingari
quando si siedono a fissar la pioggia,
con le labbra che appena si muovono.



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Salmo

Ci hai messo un bel po' a deciderti,
oh Signore, su questi pazzi
che governano il mondo. Arrivano dovunque
e i loro artigli devono averti spaventato.

Uno di loro mi scovò con la sua ombra.
Il giorno si era fatto freddo. Ondeggiai
fra il terrore e il coraggio
nell'angolo più buio della stanza di mio figlio.

Ho cercato con i miei occhi, Te in cui non credo.
Ti impegni a rendere graziosi i fiori,
a far sì che gli agnelli non smarriscano la madre,
o forse nemmeno di questo ti curi?

Era primavera. Gli assassini con un'aria sportiva
e allegra, e le tue divinità
al loro fianco per accertarsi
che i nostri addii venissero pronunciati bene.


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Al tizio del piano di sopra

Capo di tutti i capi dell'universo.
Signor so-tutto, burattinaio intrigante,
e qualsiasi altra cosa tu sappia fare.
Avanti, smazza i tuoi zero questa notte.
Intingi nell'inchiostro code di comete.
Graffetta la notte con luci di stelle.

Meglio per te sarebbe leggere nei fondi di caffè,
o sfogliare l'Almanacco dell'Agricoltore.
Ma no! Ti piace darti arie,
e coltivare la tua rinomata serenità
mentre siedi alla grande scrivania
con niente di niente nel vassoio
della corrispondenza in arrivo o in partenza,
e tutta quell'eternità disseminata intorno.

non ti fa accapponare la pelle
sentirli supplicare in ginocchio,
farfugliando tenere parole come se tu
fossi una bambola gonfiabile a grandezza naturale?
Di' loro di rimettersi in sesto e andare a letto.
Basta fingerti troppo occupato per notarlo.

Le tue mani sono vuote e così i tuoi occhi.
Niente su cui apporre la tua firma,
anche se tu sapessi quale nome darti,
o credessi a quelli che continuo a inventare
mentre per te scarabocchio quest'appunto nel buio.
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Luca Necciai
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