Pietro Ingrao
Moderatori: Luca Necciai, ito nami
Pietro Ingrao
ANNUNCI
E scorgere che al tuo scomparire nulla
dell’onda sara’ sospeso, o infranto;
le mute stanze che solo attendono:
chi piu’ non ti scruta,
non esige piu’ nulla
gia’ t’ha abbandonato
E scorgere che al tuo scomparire nulla
dell’onda sara’ sospeso, o infranto;
le mute stanze che solo attendono:
chi piu’ non ti scruta,
non esige piu’ nulla
gia’ t’ha abbandonato
Re: Pietro Ingrao
LA NOTTE
Il grande silenzio
delle rondini radenti
simili a bocche sigillate, allora che a piedi scalzi
invade il fianco l’oscuro, denudarsi,
splendere i muri
nell’opale.
Questi strani sposalizi di un istante.
____________________
PADRI E FIGLI
Bianco schiumare di vento
alle mie frontiere, come sei comando
e invocazione violenta.
Mi curvo al rombo dell’ira amorosa:
urla al frutto del suo ventre, strappa
vele al cielo, coltri
delle montagne.
Reclina
il capo furente. Grida.
____________________
IMPOSSIBILI
Sorpresi nell’aprirsi
della fame e della luce, infinito
d’uccelli schiudono labbri, ridono
sgomenti, cedono ali al nulla.
Il grande silenzio
delle rondini radenti
simili a bocche sigillate, allora che a piedi scalzi
invade il fianco l’oscuro, denudarsi,
splendere i muri
nell’opale.
Questi strani sposalizi di un istante.
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PADRI E FIGLI
Bianco schiumare di vento
alle mie frontiere, come sei comando
e invocazione violenta.
Mi curvo al rombo dell’ira amorosa:
urla al frutto del suo ventre, strappa
vele al cielo, coltri
delle montagne.
Reclina
il capo furente. Grida.
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IMPOSSIBILI
Sorpresi nell’aprirsi
della fame e della luce, infinito
d’uccelli schiudono labbri, ridono
sgomenti, cedono ali al nulla.
Re: Pietro Ingrao
LETTERA D’AMORE
Sei un riccio
una betulla
una fame d’erba
un rotolo nel controverso, una goccia
i tuoi stemmi mordicchiati
dallo sporgere nel debole
non giuri vittoria, non urli, ti lasci
cadere cercando;
quando abbracci digrigni i sottili denti.
Sotto il tuo pallore
nell’oscillare tra due olmi,
l’ansia che scavalca l’ordine,
l’abbandonarsi in mare.
____________________
CHIAMATA
C’e’ un rombo un’armata
un sordo rullo di tamburo
che avanza all’alba dal fondo
delle metropoli;
senza trombe ne’ squilli
dilaga il lungo
scalpiccio; lente, pesanti,
al suo scuro clamore
in alto si schiudono
le palpebre grevi delle serrande:
fugge il notturno sospirando,
s’alza l’alta febbre
del fare.
____________________
EDUCAZIONE SENTIMENTALE
II tintinnio delle catene
questo suono quieto:
ci accompagna
docile per mano,
e s’adatta ubbidiente
al nostro passo. Come muoversi,
un molle crepuscolo, nel passeggio serale.
____________________
DUELLI
Immaginate
un fulmine, ma quieto.
E incrini lento: curva prolungata
lacerazione: su l’immota cerchia di torri
avvinghiata alla citta’.
Immaginate si chiuda il fulmine.
Eterna cicatrice.
Esseri neri a passeggio sulle mura.
Degli alberi sul selciato
cancellata l’ombra.
Sei un riccio
una betulla
una fame d’erba
un rotolo nel controverso, una goccia
i tuoi stemmi mordicchiati
dallo sporgere nel debole
non giuri vittoria, non urli, ti lasci
cadere cercando;
quando abbracci digrigni i sottili denti.
Sotto il tuo pallore
nell’oscillare tra due olmi,
l’ansia che scavalca l’ordine,
l’abbandonarsi in mare.
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CHIAMATA
C’e’ un rombo un’armata
un sordo rullo di tamburo
che avanza all’alba dal fondo
delle metropoli;
senza trombe ne’ squilli
dilaga il lungo
scalpiccio; lente, pesanti,
al suo scuro clamore
in alto si schiudono
le palpebre grevi delle serrande:
fugge il notturno sospirando,
s’alza l’alta febbre
del fare.
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EDUCAZIONE SENTIMENTALE
II tintinnio delle catene
questo suono quieto:
ci accompagna
docile per mano,
e s’adatta ubbidiente
al nostro passo. Come muoversi,
un molle crepuscolo, nel passeggio serale.
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DUELLI
Immaginate
un fulmine, ma quieto.
E incrini lento: curva prolungata
lacerazione: su l’immota cerchia di torri
avvinghiata alla citta’.
Immaginate si chiuda il fulmine.
Eterna cicatrice.
Esseri neri a passeggio sulle mura.
Degli alberi sul selciato
cancellata l’ombra.
Re: Pietro Ingrao
ARRIVI, PARTENZE
Ricordati, fanciulla. Ricordati
di sbarcare all’alba. I porti sono irti
di grandi uccelli acquattati, le pesanti ali
si allungano sui cavicchi, ombre
dissolte tra fumi. Non temere
i brusii che discendono
dai fanali. Attenta ai gridi. Non potremo,
non ci sara’ nessuna macchina. Le stanze
sono occupate dagli imbianchini.
Scartavetrano
i muri, s’allungano con le braccia, il disordine
frantuma i nostri sonni. I vicini
cosi’ esigenti. Alcuni li vediamo tra i vetri
che si abbracciano. Ricorderai come alte, rosse
sono le stanze. Tutte a tramontana.
Il morire della luna
l’eccessivo grido, non c’e’ ordine. Si stirano
i capelli.
Respira forte, spanditi nella nebbia.
E’ l’umore dei pensieri, le rivelazioni
dell’avvento; anche se chiedono passaporti,
li rivoltano (sai frugando come allungano
mani pesanti).
Non potremo esserci, le nostre albe sono avvinte.
Ci chiamano. Bisogna fare colazione.
Aprire le labbra.
Tu pero’
t’inoltri, l’alta gamba soda
sul tacco sottile. I netturbini sentono
e si voltano. Non possiamo venire.
Il sonno dorme ancora
pesante sulle palpebre nostre, uguale
a incerto stormo. Non avere
paura d’incedere nella tua alba.
____________________
LA BREVE POLVERE
Eppure, luce
ti spandi
scuoti la breve polvere
nostra, scavalchi
astri, nidi di galassie
dilaghi tra bui vortici
incontro ad altri soli.
____________________
VI RACCOMANDO
Non c’e’ tempo; fuggiamo
verso il metro’, verso la luna, verso le nevi
dei terminal, verso l’ossesso fuggire
alla morte, si’ ci attendono
a Liverpool, davvero vorremmo
scendere; ruzzolavamo sempre
nella brughiera purpurea, sempre,
l’umido, l’attendere,
l’orlatura la’ dove stanno
le luci degli indicatori: e’ vero, sappiamo
dei temporali, dall’autogrill si scoprono bellissimi tramonti
e i pensieri divampano lenti, come rauco sonno,
sai che dormiamo nelle macchine,
cantiamo nelle macchine, ci srotoliamo
come serpenti in infiniti tapis roulant, anche se
ora non c’e’ tempo, e gli orologi gentilmente
ci sorprendono ogni secondo, ci scoperchiano
acquattati, ci agguantano,
tuttavia,
vi raccomando, non appoggiatevi
tanto ai muri.
Ricordati, fanciulla. Ricordati
di sbarcare all’alba. I porti sono irti
di grandi uccelli acquattati, le pesanti ali
si allungano sui cavicchi, ombre
dissolte tra fumi. Non temere
i brusii che discendono
dai fanali. Attenta ai gridi. Non potremo,
non ci sara’ nessuna macchina. Le stanze
sono occupate dagli imbianchini.
Scartavetrano
i muri, s’allungano con le braccia, il disordine
frantuma i nostri sonni. I vicini
cosi’ esigenti. Alcuni li vediamo tra i vetri
che si abbracciano. Ricorderai come alte, rosse
sono le stanze. Tutte a tramontana.
Il morire della luna
l’eccessivo grido, non c’e’ ordine. Si stirano
i capelli.
Respira forte, spanditi nella nebbia.
E’ l’umore dei pensieri, le rivelazioni
dell’avvento; anche se chiedono passaporti,
li rivoltano (sai frugando come allungano
mani pesanti).
Non potremo esserci, le nostre albe sono avvinte.
Ci chiamano. Bisogna fare colazione.
Aprire le labbra.
Tu pero’
t’inoltri, l’alta gamba soda
sul tacco sottile. I netturbini sentono
e si voltano. Non possiamo venire.
Il sonno dorme ancora
pesante sulle palpebre nostre, uguale
a incerto stormo. Non avere
paura d’incedere nella tua alba.
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LA BREVE POLVERE
Eppure, luce
ti spandi
scuoti la breve polvere
nostra, scavalchi
astri, nidi di galassie
dilaghi tra bui vortici
incontro ad altri soli.
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VI RACCOMANDO
Non c’e’ tempo; fuggiamo
verso il metro’, verso la luna, verso le nevi
dei terminal, verso l’ossesso fuggire
alla morte, si’ ci attendono
a Liverpool, davvero vorremmo
scendere; ruzzolavamo sempre
nella brughiera purpurea, sempre,
l’umido, l’attendere,
l’orlatura la’ dove stanno
le luci degli indicatori: e’ vero, sappiamo
dei temporali, dall’autogrill si scoprono bellissimi tramonti
e i pensieri divampano lenti, come rauco sonno,
sai che dormiamo nelle macchine,
cantiamo nelle macchine, ci srotoliamo
come serpenti in infiniti tapis roulant, anche se
ora non c’e’ tempo, e gli orologi gentilmente
ci sorprendono ogni secondo, ci scoperchiano
acquattati, ci agguantano,
tuttavia,
vi raccomando, non appoggiatevi
tanto ai muri.
Re: Pietro Ingrao
PACE
Pace ai frantumi agli impazziti;
ai muti muri
mai sorti;
agli uccelli insensati;
alle immobili foreste all’impossibile liberazione del sonno
ai templi dell’irriso desiderio.
____________________
DISTANZE
Eppure siamo lontani, dispersi,
non ci saldano
le folli corse nostre
nell’agire,
il sussurro del video, la sete
di comando, il desolato desiderio
di stringerci nella parola.
____________________
CRONACHE
Non sapevamo dov’era la sponda,
non trovammo i segni, ma torri, orme
talune sommerse, pensieri
testimoni lasciati dagli inermi, dove
solchi sembravano slargarsi
in vento di passione comunitaria:
sporgetevi sui volti, i libri
contestati, le deflagrazioni della sconfitta:
la’ trascorse, avvampo’
la nostra vita.
____________________
SCOMPARSE
C’e’ lento un sapore della morte,
sottile sporgersi all’ultimo lucore:
non c’e’ soffi, ne’ stridere
dell’uscio, non si vede
l’angelo: eppure
l’istante dove fu fissato
in volto, quello sguardo
quanto pagheremmo
durasse.
____________________
COME CORSA
Questa luce della parola,
suoni che s’abbracciano stretti
e spandersi nel segno
come corsa su lembo dove mare
non giunge eppure incombe.
____________________
EXIT
E un tratto mi perdo, mi sporgo:
da un ciglio stupefatto
i gridi, e duelli, le catene
del conflitto,
l’impallidire degli eventi
l’ondularsi inconoscibile della distanza.
Rari suoni ormai dal labbro, prima del silenzio.
____________________
MAI
Una neve cosi’ grande, e lene. Mai
vista spandersi
con tanta ricchezza d’ali,
senza voci, ne’ crolli,
cosi’ nuda.
Si puo’ mirare questo termine
del conflitto, l’inabissarsi
delle coscienze:
apprendere questo lungo canto immobile.
Pace ai frantumi agli impazziti;
ai muti muri
mai sorti;
agli uccelli insensati;
alle immobili foreste all’impossibile liberazione del sonno
ai templi dell’irriso desiderio.
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DISTANZE
Eppure siamo lontani, dispersi,
non ci saldano
le folli corse nostre
nell’agire,
il sussurro del video, la sete
di comando, il desolato desiderio
di stringerci nella parola.
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CRONACHE
Non sapevamo dov’era la sponda,
non trovammo i segni, ma torri, orme
talune sommerse, pensieri
testimoni lasciati dagli inermi, dove
solchi sembravano slargarsi
in vento di passione comunitaria:
sporgetevi sui volti, i libri
contestati, le deflagrazioni della sconfitta:
la’ trascorse, avvampo’
la nostra vita.
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SCOMPARSE
C’e’ lento un sapore della morte,
sottile sporgersi all’ultimo lucore:
non c’e’ soffi, ne’ stridere
dell’uscio, non si vede
l’angelo: eppure
l’istante dove fu fissato
in volto, quello sguardo
quanto pagheremmo
durasse.
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COME CORSA
Questa luce della parola,
suoni che s’abbracciano stretti
e spandersi nel segno
come corsa su lembo dove mare
non giunge eppure incombe.
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EXIT
E un tratto mi perdo, mi sporgo:
da un ciglio stupefatto
i gridi, e duelli, le catene
del conflitto,
l’impallidire degli eventi
l’ondularsi inconoscibile della distanza.
Rari suoni ormai dal labbro, prima del silenzio.
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MAI
Una neve cosi’ grande, e lene. Mai
vista spandersi
con tanta ricchezza d’ali,
senza voci, ne’ crolli,
cosi’ nuda.
Si puo’ mirare questo termine
del conflitto, l’inabissarsi
delle coscienze:
apprendere questo lungo canto immobile.