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Gruppo Amici della Poesia • Gianni Regalzi - Pagina 13
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Inviato: 28/07/2009, 11:06
da Gianni Regalzi
SULLA COLLINA

Sulla collina non canta più il gallo.
Solo silenzi, soltantanto silenzi
specchiati su foto di volti
ingiallite dal tempo.

Alessandria, 28 luglio 2009
Gianni Regalzi

Inviato: 28/07/2009, 15:38
da Gianni Regalzi
SCROSCIO DI PIOGGIA

Scroscio d'intensa pioggia
sui nudi vetri.

Celeste melodia
o pianto e affanno?

Alessandria, 29 luglio 2009
Gianni Regalzi

Inviato: 31/07/2009, 9:18
da Gianni Regalzi
SOLTANTO UN SOGNO DA’ SENSO ALLA VITA

Ritorna molto spesso quella voce
dal fondo più recondito dei sensi.
E’ un urlo opaco e scuro, densa nebbia
che addenta come un manto le mie membra.

E’ l’eco d’un ricordo assai lontano,
ombra d’un sogno vago e lento e dolce,
specchio di quel sospiro tanto atteso
vertigine di anelito negato.

Voce di stella chiara e muta agli’occhi
di chi non sa cos’è covare un sogno,
di chi soltanto gode del reale
e non capisce che soltanto un sogno
potrebbe dare un senso ad una vita.

Alessandria, 31 luglio 2009
Gianni Regalzi

Inviato: 11/08/2009, 10:25
da Gianni Regalzi
DESIDERIO DI PASSATO

Mi sbrana il desiderio di "Passato"
nell'attimo in cui l'ombra si scolora,
ma attorno c'è silenzio...Tutto tace.
Risento solamente quel Profumo;
ricordo d'una notte arroventata
nel voluttuoso vortice dei sensi
in quell calda estate ormai lontana,
ma attorno c'è silenzio e tutto tace.

Alessandria, 11 agosto 2009
Gianni Regalzi
http://xoomer.virgilio.it/gianniregalzi/
gianni.regalzi@libero.it

Inviato: 31/08/2009, 10:32
da Gianni Regalzi
PER ASPERA AD ASTRA

Il vuoto, un urlo e un tonfo
e un brivido di sangue ha violentato
il quieto e lento incanto della sera.

Ora non resta nulla
soltanto dolce ambrosia d'assoluto.

Alessandria, 31 Agosto 2009
Giani Regalzi

Inviato: 08/09/2009, 11:26
da Gianni Regalzi
(Primi timidi abbozzi di versi quand'ero ragazzino)

LA CASA IN MEZZO ALLA NEVE

La nebbia nasconde allo sguardo affamato
lo strano grigiore del giorno passato
ma innanzi si eregge molle, tiepida e lieve
la Casa anelata... proprio in mezzo alla neve.

Alessandria, inverno di mille anni fa.
Gianni Regalzi

Inviato: 16/09/2009, 16:06
da Gianni Regalzi
AMUR E MORT

A’i vigh ancura là, ans cul pugiò
ch’i parlu e ‘s uardu ‘nt j’ògg
sensa capì
perchè i sentivu l’on-ma ch’la tremava.

A l’era u 3 Utuber 1960.

L’istà l’era finì e la sira frёsca
la culurava l’aria ‘d tinti forti.

“Sò nent ‘cme fè a dit cul ch’j’ho ‘nt el còr”.
Mentre ch’al parla, lü u ten j’ogg bass.
E lé ui rispònd con la sò vuz tremònta:
“E mè j,hò pòura ‘d senti cul che t’am vòri dì,
savrèisa propi nenta ‘se rispondti”.

La strà suta ‘l pugiò l’era desèrta,
u j’era ammac in ciuc n biciclёta
e ‘n popi ‘n là, in gatt cu scuratlava.
La luce ad cul lampiòn, l’ünic anvisch,
l’allüminava ‘n pò la strà bagnaija.

La porta del pugiò l’era druèrta
e us sentiva j’ater ciaciarè,
ma ‘nzёn u s’era acort,
che propi le a poc meter,
du on-mi is preparavu per l’infèr.

“T’al sai pü ben che mé ch’a son marià
e mé mujé un vò ‘ncura in bén ad l’on-ma,
ma ‘lè da ‘n pò che mé a pens semp a tè,
sò nenta cmélamai ,
ma ‘péna ch’a drób j’ògg, t’hò zà ‘nt’la ment”.
“Ơnche mé a sòn mariaja, ma mé marì
um trata ‘cme s’a fijsa nonc al mònd”.

Da cula sira anzёn u j’ha pü vist,
nè i familiar e nònca tücc j’amiz.

El sèrvi dèl cantòn, parlondzi an s’èl mercà
o quònd ch’i ciaciaravu ‘n v. Milazzo,
i favu tüti ‘l sò supuzision,
ma la versiòn ormai pü acreditaja,
a l’era cula ch’j’eru scapà ‘nsèma
e j’eru andacc a stè forse a Tirén.

I divu: “lé lè ‘na porca,
a l’ha abandunà el fiò e ‘l marì.
E lü ‘l curiva sempr a drera ‘l doni,
i sòn dòi spurcaciòn, dòi disgrasià”.

D’allura u j’è pasà pü ‘d quarònt’ani
e méa m viz ancura che ‘n sì giurnal
a j’avu publicà ista nutissia:
“Un pescatore ha rinvenuto
nel groviglio dei cespugli lasciati dalla
piena del fiume Tanaro, i corpi di due persone
strettamente abbracciate.
Si tratta probabilmente di duplice suicidio.
La perizia necroscopica fa risalire la morte
presumibilmente all’8 Ottobre.
I familiari sono stati avvertiti”.

Adès ‘ns cul pugiò u j’è i gerani
e ogni tònt a vigh
ina maznà ch’la giòga còn ‘na buata.

Anzёn l’ha mai facc caz, l’ha mai nutà,
ma mé, uardonda bén, j’hò vist tònt vóti
l’òmbra ‘d dù on-mi scüri
che còn la mòn ‘nt la mòm is uardu ‘nt j’ògg.

Lisòndria, 12 Dicembér 2007
Gianni Regalzi



TRADUZIONE

AMORE E MORTE

Li vedo ancora lì, su quel balcone/che parlano guardandosi negl’occhi/senza capire/perché sentono le loro anime tremere/ Era il 3 ottobre 1960/ L’estate era finita e la sera fresca /tingeva l’aria di tinte forti./”non so come dirti quel che ho nel cuore”./mentre parla lui tiene gli occhi bassi/e lei risponde con la voce tremente:/”Ed io temo di ascoltare ciò che vuoi dirmi/ non saprei cosa risponderti”/La strada sotto al balcone era deserta/c’era soltanto un ubriaco in bicicletta/e un gatto che correva./La luce del lampione, l’unico acceso/illuminava pigramente la stada umida di pioggia./ La porta del balcone era aperta/ e si sentivano all’interno altre voci/ma nessuno s’era accorto/che lì, a poche metri,/due anime si preparavano per l’inferno/./ “Tu lo sai, io son sposato/e mia moglie mi vuone un bene dell’anima, ma/è da un po’ di tempo che penso a te/appena apro gli occhi sei già nei miei pensieri”/”Anch’io sono sposata, ma mio marito/non sa neanche se esisto”/Da quella sera nessuno li ha più visti/Le comari del rione spettegolavano al mercato/e la versione più accreditata/era che i due amanti erano fuggiti a Torini./Dicevano:”Lei è una pocodibuono,/ha abbandonato figlio e marito./ e lui è un donnaiolo incallito,/ sono due sciagurati./ Da allora sono trascorsi quasi cinquant’anni/e ricordo le cromache del tempo scrissero/ (Vedi testo originale già in lingua)
Ora su quel balcone ci sono vasi di gerani/ e ogni tanto vedo/una bimba che gioca con una bambola/nessuno l’ha mai notato/ma guardando con attenzione, ho visto molte volte/l’ombra di due Anime scure/che con la mano nella mano si guardano negl’occhi

Inviato: 16/09/2009, 20:50
da ito nami
Un dentro alla notizia in una cronaca di miseri amanti in patois alessandrino del bravo Gianni

Inviato: 21/09/2009, 11:59
da Gianni Regalzi
L'ATTIMO INFINITO

Un ultimo ricordo resta ancora,
è L'Attimo infinito ormai passato
travolto dall'ingiurie degli eventi.

Gianni Regalzi
Alessandria, 21 Settembre 2009

Inviato: 24/09/2009, 15:52
da Gianni Regalzi
COLEI CHE DEI MIEI GENI PORTA IL SEGNO
(Dedicato a mia figlia Claudia)

Colei che dei miei geni porta il segno,
se parla con la sua di lei fattrice
s’accorda ogni qual volta senza sdegno
e accetta tutto quanto lei le dice.

Invece rivolgendosi a me dice,
che sono forse affetto d’andropausa
però sorride, certo che è felice
d’essere lei del mio orgoglio causa.

Gran rompiballe è, sempre discute
ogni capello in quattro lei sa fare
e quasi mai abbiam stesse vedute,

però è dolce, cara, intelligente
e appena terminian di “bisticciare”,
illumina all’istante la mia mente.


Alessandria, 3 Dicembre 2005
Gianni Regalzi

Inviato: 25/09/2009, 10:01
da Gianni Regalzi
Dedicata a RAFFAELLA e MASSIMO
Nel giorno del Loro Matrimonio.


CORRETE DOVE IL CIELO RUBINO SI PERDE

Correte,
correte dove il cielo rubino si perde.
Non vi fermate.
Sugl’aghi di pino ferite i vostri passi.
Nella perla del mattino specchiate il vostro domani.
Distogliete la mente dal Cuore
e fate dei vostri sospiri la Stella polare.
E volate,
volate dove il cielo rubino si perde.

Alessandria, 22 Settembre 2007
Gianni Regalzi

Inviato: 28/09/2009, 8:43
da Gianni Regalzi
STELLE APPASSITE

Raccolgo soltanto
Stelle appassite sull'umido viale.
La fiamma s'è spenta.
Non resta che un sogno
sbiadito e lontano.

Alessandria, 28 Settembre 2009
Gianni Regalzi

Inviato: 28/09/2009, 16:05
da Gianni Regalzi
LA LUNGA ESTATE DEL ‘63
(Prima Parte)


Il primo tiepido sole di Giugno ci trovò come al solito seduti sulla traballante panchina, situata sotto l’ormai ombroso viale che conduce dalla stazione verso la piscina comunale; si, proprio lì di fronte la casa di Beppe, per gli amici “Pipen”.
Quel sabato pomeriggio c’eravamo proprio tutti: Pipen, Piero lo Smilzo, Giancarlo detto Scià, Paolo detto Ga, Ennio detto Rospo, Agusten ed io, Gianni.
L’interminabile anno scolastico era fortunatamente terminato e per tutti noi, l’esito era stato sufficientemente positivo, ci aspettava quindi una formidabile, divertente, entusiasmante e lunga estate, si; La lunga estate del 1963.
Si doveva decidere come passare la serata e le varie proposte si susseguivano; “ Andiamo au Giason (soprannome del vecchio cinema Dante ed attuale cinema Corso) a far casino” propose Ennio Rospo,” Questa sera è in programmazione Maciste contro tutti, ci divertiremo”.
“Andiamo a suonare i campanelli nei palazzi” propose Paolo Ga.
“Andiamo a rubare l’insalata negli orti dei ferrovieri” disse Giancarlo Scià, ma anche questa proposta non ci entusiasmò.
Mentre si stava discutendo sul da farsi, arrivò Gianni Conti che, dopo essersi seduto accanto a noi disse: “Mi è venuta un’idea esagerata”. Lo guardammo con interesse e lo incitammo ad esporci il suo programma.
Dopo qualche istante di voluto silenzio per aumentare la nostra attenzione, continuò: “Sono riuscito a procurarmi le cariche della pistola sparachiodi di mio zio (che faceva il carpentiere) e questa sera potremmo andare a farle esplodere sul greto del Tanaro dietro la piscina”.
Al suono di quella proposta i nostri occhi si misero a brillare di gioia e la proposta accolse la totalità dei consensi.
Nel frattempo erano giunte le 18,30, ora canonica del ritorno a casa per la cena.
Ci salutammo e ci demmo l’appuntamento per le ore 21 sempre sotto il viale.

La serata era fresca e tutti quanti ci trovammo all’appuntamento abbondantemente in anticipo rispetto l’ora stabilita, indossando giubbotti tipo “BLUSON NOIR”.
Gianni Conti arrivò tutto euforico con una scatola rossa sotto il braccio; stava per iniziare l’avventura.
Ci dirigemmo in gruppo verso la piscina ed ivi giunti scendemmo dalla riva del Tanaro verso il greto del fiume.
Era buio pesto e faceva abbastanza freddo perché il tiepido vento del giorno aveva cambiato direzione e spirando da nord, aveva fatto scendere notevolmente la temperatura.
Giunti sul greto del fiume, iniziammo le operazioni.
Paolo Gà, munito di coltellino SVIZZERO MULTILAME tagliò alcuni arbusti secchi e ne fece un fascio, munito di torcia elettrica, Agusten, indicò il luogo dove io ed Ennio Rospo accatastammo i rami.
Mentre erano in corso i preparativi, Piero lo Smilzo, che era di vedetta sulla riva, scese di corsa per avvisarci che stava giungendo qualcuno.
Ci riunimmo e ci nascondemmo poco oltre in mezzo alle frasche.
Giancarlo Scià ebbe una grandiosa idea:
“Accendiamo il fuoco, quindi, rimanendo nascosti, attendiamo che l’ignaro passante si avvicini a curiosare e noi dal nascondiglio lanciamo le cartucce nel falò”.
“Formidabile” gridammo all’unisono ed, in men che non si dica, il fuoco ardeva vivo e scoppiettante.
Piero lo Smilzo, che era tornato di vedetta, ci comunicò con gesti disarticolati che l’ignaro passante stava accingendosi a scendere sulla riva del fiume e, dopo questa informazione ci raggiunse carponi.
La nostra bravata stava poco a poco compiendosi.

L’uomo dall’apparente età di settant’anni circa, un poco malfermo sulle gambe, iniziò la discesa probabilmente per andare ad espletare un urgente bisogno corporale, ma attratto dal fuoco e mosso da curiosità, ivi si diresse.
La nostra euforica tensione stava raggiungendo il suo apice.
Gianni Conti dopo aver aperto la scatola rossa, diede ad ognuno di noi una manciata di lucenti capsule.
Nel frattempo l’ignara vittima, con un bastone stava rovistando fra gli sterpi ardenti.
Era giunto il momento magico; lanciammo nel fuoco la prima capsula, pochi istanti dopo una seconda, una terza; iniziarono i botti, uno dopo l’altro, forti, potenti, consecutivi.
La nostra euforia era al massimo e l’uomo era immobilizzato dalla sorpresa e dalla paura.
Gettammo tutte le capsule nel rogo ed iniziarono i fuochi d’artificio.
Non ancora soddisfatti di quanto era stato fatto, tutti a tempo uscimmo dal nostro nascondiglio e gridando come pazzi ci dirigemmo correndo verso il malcapitato che, dopo essersi leggermente ripreso, cominciò ad apostrofarci con epiteti degni della migliore scuola alessandrina coinvolgendo con le sue parole parecchie nostre generazioni.
Ci allontanammo correndo a gambe levate, l’uomo però, stranamente non si mosse; probabilmente aveva espletato il suo impellente bisogno corporale, stimolato dalla paura, ritto in piedi e soprattutto senza calarsi i calzoni.

La nostra corsa finì nei pressi del bar Zerbino, era passata da poco la mezzanotte e nel bar c’erano pochi avventori quindi non entrammo.
Ci guardammo soddisfatti, la bravata era perfettamente riuscita e la nostra vittima non avrebbe mai potuto riconoscere.
Attraversammo i giardini pubblici e ci dirigemmo verso c. Roma per tornarcene a casa.
L’euforia ormai era spenta e camminavamo in ordine sparso.
Giancarlo Scià dava calci ad una lattina vuota assumendo atteggiamenti alla Gianni Rivera, Ennio Rospo e Gianni Conti illudendosi di imitare i Beatles, lanciavano al vento ululati da veri cani di razza, Smilzo, Gà, Agusten ed io, discutevamo animosamente facendo l’impari confronto tra le tette di Rita Pavone (misere misere) e quelle di Margaret Lee (sempre presente nei nostri sogni erotici di sbarbati quindicenni inesperti, ma appassionatissimi alla materia).
Giungemmo così in P. Savona (p. Garibaldi), ci stavamo salutando, quando sentimmo due voci che ci stavano chiamando.
Erano Franchen Vottero e Gianni Adone Vittadelllo, i due baristi del bar Zerbino che avevano da poco terminato il loro turno di lavoro.
Si avvicinarono e dopo averci salutato dissero:
“Domani aprono la piscina comunale, noi andiamo, venite anche voi?.


FINE DELL PRIMA PARTE

Questo è un fatto realmente accaduto quand’ero ragazzo.
I racconti de LA LUNGA ESTATE DEL ’63 sono dedicati al mio amico
Gianni Adone Vittadello (barista del bar Zerbino in quell’anno), tragicamente
Scomparso nell’estate del 1965, in un grave incidente automobilistico sul Turchino.

Gianni Regalzi

Inviato: 29/09/2009, 9:54
da Gianni Regalzi
LA LUNGA ESTATE DEL ’63
(Seconda parte)

Quella Domenica iniziava la stagione estiva alla piscina comunale e noi tutti accogliemmo l’evento con entusiasmo.
Alle ore 9,30 eravamo già all’ingresso e, dopo aver consegnato le nostre fiammanti biciclette, dono delle promozioni scolastiche al deposito antistante
l’ingresso principale e dopo aver pagato le 50 Lire di entrata, in men che non si dica, ci trovammo in costume sul bordo della vasca grande.
Smilzo ed io, eravamo bianchi come albini, mentre Scià aveva già una invidiabile abbronzatura della quale andava orgoglioso e solo col tempo, capimmo che quel bel colorito bronzeo non era dovuto a fantastiche gite al mare come voleva farci intendere, bensì ad un normale fattore costituzionale.
Eravamo sprovvisti di zoccolette (calzature estive di legno e non ragazzotte di facili costumi!!!), quindi fu ardua l’impresa di camminare scalzi sulle roventi piastrelle di Gress rosso che pavimentavano tutto lo spazio circostante.
Senza pensarci due volte, ci gettammo in acqua ma, dopo solo poche bracciate, ci rendemmo conto che, in mancanza assoluta di allenamento, forse era cosa buona risalire all’asciutto ed accontentarsi almeno per il primo giorno di stenderci al sole.
Tutti e tre sdraiati sui nostri asciugamani ci guardavamo attorno assaporando il primo caldo estivo.
Il de bello gallico, Cicerone e le odiate declinazione latine, finalmente, non erano che un lontano quanto apparentemente inutile ricordo.
Passarono brevi istanti e la nostra attenzione fu galvanizzata da un gruppetto di ragazze che, poco distante e sedute a cerchio, giocavano a carte.
I loro attillati costumi esaltarono subito le nostre ribollenti fantasie erotiche di quindicenni magari inesperti ,ma appassionatissimi all’argomento.
Stilammo una improvvisata classifica di chi, tra le ragazze, avesse le tette più intriganti e, all’unanimità assegnammo il titolo de “Le più belle tette dell’estate 1963” ad una bella bionda di circa 25 anni con tutti i suoi generosi ed abbondanti attributi messi proprio al posto giusto.
Dopo una veloce conta, toccò proprio a me il difficile compito di andare a comunicarglielo.
L’impresa mi apparve subito molto ardua per due motivi: primo, ero fondamentalmente timido, secondo, non potevo farlo notare ai miei amici ai quali a volte, raccontavo delle improbabili ed enormi balle sulle mie esperienze ed avventure sessuali.
Facendo buon viso, mi avvicinai alla bionda, mi tremavano le gambe dall’emozione, ma dovevo mostrarmi disinvolto agli occhi dei miei amici, ma soprattutto agli occhi delle ragazze.
Giunto in prossimità della bionda raccolsi tutto il coraggio che avevo e cercando di assumere l’atteggiamento più sfacciato possibile dell’uomo vissuto dissi tutto d’un fiato: “ Hai le tette più belle del mondo”.
Finii a malapena la frase e la bionda senza proferir parola alcuna, mi mollo una sberla che mi fece zufolare le orecchie. ( Nota di redazione; Come sono cambiati i tempi).
Arrossii, tossii nervosamente, mi voltai, ma invece di tornare dai miei amici, che intanto sghignazzavano ormai senza contegno, mi vestii di botto e come un fulmine inforcai la bicicletta e pedalai a più non posso e senza meta per scaricare tutta la rabbia e la vergogna che avevo acculato.

Fine seconda parte


Gianni Regalzi
http://xoomer.virgilio.it/gianniregalzi/
gianni.regalzi@libero.it

Inviato: 30/09/2009, 10:47
da Gianni Regalzi
ABBANDONO

Trascina l’occhio pendulo
nei vicoli più buï
e con le scarne membra
asciuga il suo sudore.

Non sa cos’è l’aurora.
Per lui la luce è il buio.

Ricorda un solo nome
un nome lungo e breve.
E’ il nome di sua madre
che un dì l’abbandonò.

Alessandria, 2 aprile 2009
Gianni Regalzi