Hesterno Licini Die Otiosi
(Ieri Licinio a nostro comodo)
Verso il tramonto, credo, cominciammo a bere.
E sdraiati per terra a scrivere versi
Per canzoni quella fredda
Notte l’odore che entrava
Dalla finestra me ne andai alle quattro andai
A casa.
Aprii il frigo.
Lo richiusi mi stesi mi alzai.
Mi stesi.
Giacqui.
Mi girai.
Non ancora mattino.
Voglio solo parlarti.
Perché l’amore accade?
Così poi invecchiai e morii e scrissi questo.
Attenzione è affilato.
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MI SA CHE IL POVERO PAESE TURBATO TROPPO A LUNGO
Luce sui muri di mattoni e un vento del nord che sferza i rami neri.
Ombra che strappa le budella della luce secche al contatto del suo palmo.
Mangia la zuppa, madre, ovunque tu sia nella tua testa.
Mezzogiorno d’inverno che avanza. Deboli soli ancora vivi
quasi danno forza ai soli dell’altro giorno.
Ché il povero paese sogna
di arrendersi, madre
mai non tenera,
madre prode
e gaia.
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Linee
Mentre parlo a mia madre riordino le cose. I dorsi dei libri accanto al telefono.
Le graffette
in un piatto di ceramica. Residui di gomma da cancellare che punteggiano la scrivania. Parla
con trasporto
della morte. Mi metto a girare le graffette dall’altra parte.
Fuori
dalla finestra la neve cade in linee rette. A mia madre,
amore
della mia vita, descrivo cos’ho mangiato a colazione. Ora le linee
cadono
più veloci. La sorte ha posto dei piccoli pesi agli estremi (per farci più veloci)
le voglio
dire—segno della pietà divina. Non mi farò fermare da lei
dice,
non mi farò costringere. Miracoli ci scivolano alle spalle. Le
graffette
sono allineate per sempre. Pietà divina! Per quanto tempo
lo
sentirò bruciare, disse la bambina per essere
gentile.
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Catene di sonno
Chi può dormire mentre lei—
lontana centinaia di chilometri sento quel vasto respiro
sventaglia le sue inquiete carte da gioco.
Di cicatrice in cicatrice
ciascun anello
tintinna una volta.
Eccoci madre sull’oceano senza navi.
Pietà di noi, pietà dell’oceano, eccoci.
Anne Carson
Moderatori: Luca Necciai, ito nami