Giorgio Barberi Squarotti
Inviato: 07/03/2015, 12:46
Tre soli anni
Tre soli anni, e già più non ricompongo i
tratti del tuo volto che per quaranta e più anni mi ha vegliato,
e allora che posso dire ormai di te, di me, di una vita d’amore e
pena per un’altra di parole e vento e gesti
venuti sempre troppo tardi, all’orlo di
una stanchezza mortale o anche un poco oltre, dov’è
lo scherno dell’inutile e del vano, e non c’è più risposta, da nessuno?
Se ti riporta il sogno, ma sei tu se ora
il tuo passo è così lieve e rapido, i capelli neri, il
volto senza rughe, la voce non interrotta dall’affanno?
Mi dicono che ora sei così, nell’altro spazio
dove nulla si perde, e nella noia dei vizi ripetuti, delle
viltà moltiplicate nello specchio di ogni anima,
nei rancori, nelle ire, nelle quotidiane crudeltà
così uguali per tutti che neppure Dio distingue vittime e
colpevoli, il bene che solo è tuo risplende. Io non
vedo nulla, vecchia anima talpa che così poco scava dentro di sé, e
preferisce le voci d’altri i libri d’altri i cataloghi gli archivi;
ma so forse che questi colpi da basso, fitti contro la
porta, i passi più numerosi nella strada delle
scarpe chiodate, e i lamenti e le grida e i colpi di
frusta e anche questa primavera stenta e le tempeste
che abbattono alberi e uccelli e l’acque torbide,
sono perché il mondo l’ha perduta, e
il giudizio di Giona può ormai compiersi.
In treno, 18 aprile 1974
La città del nord
La luce bianca della città del Nord,
così ragionevole nella geometria
delle strade che tutte conducono alla grande
piazza aperta sul cielo troppo azzurro
da cui discese un giorno nello specchio
della neve, così limpido che
ancora vi affioravano le ombre
delle donne del tempo passato,
non del tutto cancellate dalla nuova
nevicata, venuta giù tutta la notte,
la luce quietamente candida, che dura
intatta, vuota, oltre il tempo previsto,
e non lascia ferite neppure negli angoli remoti,
non fantasmi dietro le finestre,
non orme che rimangono segnate
anche solo per un attimo nel nulla
così limpido che più non è la mente stessa
di Dio: mai in questa luce può accadere
qualcosa, mai giungere qualcuno
o aggiungersi anche soltanto una parola
alle parole qui mai pronunciate:
la luce riempie tutta questa città del cielo,
come sospesa sopra fumi e colli
e lenti fiumi grigi dove vanamente
nel ghiaccio agitano le ali i cigni prigionieri,
questa città di Dio, in cui come neve
cadono le anime sciogliendosi
sulle pietre chiare e subito non c’è
più nessuno.
Nancy, 30 maggio 1985
I vecchi
E marciranno i pali delle viti
sotto il peso dei soli e delle piogge,
fioriranno le ortiche in mezzo ai peschi
trafitti dagli aghi delle vespe,
senza filo di verde perirà
il grano dentro il tufo, e l’erba medica
si perderà nel ferro delle spine,
quando anche tu abbia abbandonato
la casa dei tuoi vecchi e l’ala
delle campane sopra le colline,
per seguire i tuoi sette fratelli
in fabbrica, a Torino,
e qui io sia rimasta con tuo padre,
soli,
con i miei sogni di Croce contro i fulmini
e le aride estati e i geli e le alluvioni,
e le sue inutili bestemmie.
Tre soli anni, e già più non ricompongo i
tratti del tuo volto che per quaranta e più anni mi ha vegliato,
e allora che posso dire ormai di te, di me, di una vita d’amore e
pena per un’altra di parole e vento e gesti
venuti sempre troppo tardi, all’orlo di
una stanchezza mortale o anche un poco oltre, dov’è
lo scherno dell’inutile e del vano, e non c’è più risposta, da nessuno?
Se ti riporta il sogno, ma sei tu se ora
il tuo passo è così lieve e rapido, i capelli neri, il
volto senza rughe, la voce non interrotta dall’affanno?
Mi dicono che ora sei così, nell’altro spazio
dove nulla si perde, e nella noia dei vizi ripetuti, delle
viltà moltiplicate nello specchio di ogni anima,
nei rancori, nelle ire, nelle quotidiane crudeltà
così uguali per tutti che neppure Dio distingue vittime e
colpevoli, il bene che solo è tuo risplende. Io non
vedo nulla, vecchia anima talpa che così poco scava dentro di sé, e
preferisce le voci d’altri i libri d’altri i cataloghi gli archivi;
ma so forse che questi colpi da basso, fitti contro la
porta, i passi più numerosi nella strada delle
scarpe chiodate, e i lamenti e le grida e i colpi di
frusta e anche questa primavera stenta e le tempeste
che abbattono alberi e uccelli e l’acque torbide,
sono perché il mondo l’ha perduta, e
il giudizio di Giona può ormai compiersi.
In treno, 18 aprile 1974
La città del nord
La luce bianca della città del Nord,
così ragionevole nella geometria
delle strade che tutte conducono alla grande
piazza aperta sul cielo troppo azzurro
da cui discese un giorno nello specchio
della neve, così limpido che
ancora vi affioravano le ombre
delle donne del tempo passato,
non del tutto cancellate dalla nuova
nevicata, venuta giù tutta la notte,
la luce quietamente candida, che dura
intatta, vuota, oltre il tempo previsto,
e non lascia ferite neppure negli angoli remoti,
non fantasmi dietro le finestre,
non orme che rimangono segnate
anche solo per un attimo nel nulla
così limpido che più non è la mente stessa
di Dio: mai in questa luce può accadere
qualcosa, mai giungere qualcuno
o aggiungersi anche soltanto una parola
alle parole qui mai pronunciate:
la luce riempie tutta questa città del cielo,
come sospesa sopra fumi e colli
e lenti fiumi grigi dove vanamente
nel ghiaccio agitano le ali i cigni prigionieri,
questa città di Dio, in cui come neve
cadono le anime sciogliendosi
sulle pietre chiare e subito non c’è
più nessuno.
Nancy, 30 maggio 1985
I vecchi
E marciranno i pali delle viti
sotto il peso dei soli e delle piogge,
fioriranno le ortiche in mezzo ai peschi
trafitti dagli aghi delle vespe,
senza filo di verde perirà
il grano dentro il tufo, e l’erba medica
si perderà nel ferro delle spine,
quando anche tu abbia abbandonato
la casa dei tuoi vecchi e l’ala
delle campane sopra le colline,
per seguire i tuoi sette fratelli
in fabbrica, a Torino,
e qui io sia rimasta con tuo padre,
soli,
con i miei sogni di Croce contro i fulmini
e le aride estati e i geli e le alluvioni,
e le sue inutili bestemmie.