Gio R.

ogni scrittore può aprire un topic con il proprio nome o pseudo, all'interno del quale pubblicare le proprie poesie per tornare ad aggiornarlo in seguito con nuovi scritti..

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Sara
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Re: Gio R.

Messaggio da Sara »

Ci ritorno sopra perché è troppo interessante per liquidarlo con poche parole di elogio (e poi, debbo confessarti una cosa: mi ricorda tanto Leopardi, anche se l'ermetismo con Leopardi non c'entra nulla e con te invece pare entrarci eccome!).
Che ne dici di quel "di" che ho aggiunto? E il soggetto di quel "tormentar" non può che essere un plurale, ma quale?



Emerge al fin quieto, immobile, il colle
Il dolce crin or velato or asperso estolle
E mostra di perlaceo velluto il tergo
Docile e languente ove lo sguardo ergo.
Silente monte intorno svelle e muove:
Alza ancora e ancor eleva la mano lieve,
Tende il bel braccio e quanto più candide e nuove
Pose tiene, or più su
[di] sé il guizzo è breve.
Ricade il passo ed il respiro preme
Colà ove più teneri i declivi pendono
Così qua le cime allo sfiorar s’arrendono
E l’aria spira e si ritira e freme.
Ecco ormai sì tormentar
[qual è il soggetto di questo "tormentar"?] l’erto fianco
Dell’arcan colle, parte ascoso e parte stanco,
Il nembo cupo e schivo ed ha simil difetto
Il van cruccio ond’i’ ragiono e rifletto.
Gio R.
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Re: Gio R.

Messaggio da Gio R. »

Tormentar è un infinito, legato a nembo cupo. Sì in effetti in quel punto la sintassi si rivela un po' fallace perché toglie significato al testo se non si sta attenti. È il rischio che più corro. D'altra parte mi ci sono arrovellato, ma non ho trovato altro modo di mettere le parole che volevo mettere se non in quel modo per poter rispettare poi le regole metriche (endecasillabo, tridecasillabo, tridecasillabo, endecasillabo e con le rispettive rime: baciata, alternata, incrociata, baciata, come nelle canzoni antiche). Motivo per cui il [di] mi piace, ma non posso metterlo perché spezzerebbe il metro.

La discussione si fa interessante, alla luce di quanto detto, che mi sapresti dire? Per il resto si capisce (dico gli altri soggetti e le idee espresse)? Suscito qualcosa?

P.S.: il colle che ho visto io era come da poema (in cui insisto sul bianco) tutto nebuloso e bianco di nebbie che lo avvolgevano e si muovevano intorno.
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Sara
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Re: Gio R.

Messaggio da Sara »

Mi sto perdendo la Littizzetto per risponderti... :lol: (a dire il vero, ho un occhio qui e un orecchio là)

Il colle che son riuscita a trovare in pittura, senza trascorrere nella ricerca una vita, è quello. Certo che quello da te descritto è altro, ma mi passerai il colle di Corot che, seppur non "ascoso", è pur sempre colle....o no???????

Bene, superato il punto "colle", vengo al "tormentar". Quello che hai detto torna sintatticamente, anche se non grammaticalmente, ma si sa che in poesia le licenze sono permesse. Rimane la "pesantezza" del costrutto, che non è dei più felici.

Cos'è che poi mi hai domandato? Aspetta che vado a rileggere la tua risposta.
Ah, cosa mi suscita.
Bene,io vi leggo un eros tutt'altro che "ascoso", e le immagini evocate sono nemmeno tanto "ascosamente" riferibili al corpo femminile.
Non mi suscita sentimenti di dolore o di disinganno. Mi pare piuttosto un monumento alla femminilità e al modo di rapportarsi ad essa, comunque esso sia, con ciò comportando anche qualche inevitabile "dispiacere".

Bon....

Ah, dimenticavo: non potresti lasciar perdere metrica e rime a vantaggio di una maggior scorrevolezza del testo? Naturalmente ti parlo come parlerei a me stessa, con la stessa disinvolta e naturale spontaneità priva di scrupoli....
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Re: Gio R.

Messaggio da Gio R. »

Ho dimenticato di dirti che il colle di Corot mi piaceva molto, scusa. ;-) Anch'io adoro Corot, romantico che già tende ad un tenue impressionismo.

Ad ogni buon conto sono molto lieto di aver ricevuto delle critiche serie finalmente! :D Non sai quanto peso mi tolga ciò!
Ebbene hai ragione, questo è proprio un errore nella construzione dei nessi logici (parlo del "tormentar...nembo cupo").
Io, personalmente, non stimo il resto del testo troppo pesante, più che altro lo stimo ottocentesco, il che a me piace molto e tanto mi contenta del fatto di star sviluppando uno stile che non sia quello di tutti i giorni. Condividi?

L'esplicito riferimento all'eros è secondo te un dànno? È molesto nei confronti della poeticità?

--------------

Ora mi opero per mettere a posto quella discrepanza logica del testo. Anche perché vorrei che si capisse che il difetto accomuna il vano cruccio ond'io ragiono e rifletto al nembo cupo e schivo perché entrambi tormentano (l'uno l'arcan colle e l'altro la mia ragione).
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Re: Gio R.

Messaggio da Gio R. »

Emerge al fin quieto, immobile, il colle
Il dolce crin or velato or asperso estolle
E mostra di perlaceo velluto il tergo
Docile e languente ove lo sguardo ergo.
Silente monte intorno svelle e muove:
Alza ancora e ancor eleva la mano lieve,
Tende il bel braccio e quanto più candide e nuove
Pose tiene, or più su sé il guizzo è breve.
Ricade il passo ed il respiro preme
Colà ove più teneri i declivi pendono
Così qua le cime allo sfiorar s’arrendono
E l’aria spira e si ritira e freme.
Ecco esser tormentato l’erto fianco
Dell’arcan colle, parte ascoso e parte stanco,
Dal nembo cupo e schivo ed ha simil difetto (aspetto)?
Il van cruccio ond’i’ ragiono e rifletto.



Ora si capisce, giusto? :roll:

Alla seconda parte ci sto pensando: è quella che introduce e spiega il vero proposito per cui ho iniziato il poema. Spero di riuscire a lavorarci in questi giorni (anzi, ormai, in queste notti).
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Sara
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Re: Gio R.

Messaggio da Sara »

Gio R. ha scritto:Ho dimenticato di dirti che il colle di Corot mi piaceva molto, scusa. ;-) Anch'io adoro Corot, romantico che già tende ad un tenue impressionismo.

Ad ogni buon conto sono molto lieto di aver ricevuto delle critiche serie finalmente! :D Non sai quanto peso mi tolga ciò!
Ebbene hai ragione, questo è proprio un errore nella construzione dei nessi logici (parlo del "tormentar...nembo cupo").
Io, personalmente, non stimo il resto del testo troppo pesante, più che altro lo stimo ottocentesco, il che a me piace molto e tanto mi contenta del fatto di star sviluppando uno stile che non sia quello di tutti i giorni. Condividi?

L'esplicito riferimento all'eros è secondo te un dànno? È molesto nei confronti della poeticità?

--------------

Ora mi opero per mettere a posto quella discrepanza logica del testo. Anche perché vorrei che si capisse che il difetto accomuna il vano cruccio ond'io ragiono e rifletto al nembo cupo e schivo perché entrambi tormentano (l'uno l'arcan colle e l'altro la mia ragione).

Giovanni, ho soltanto risposto come ho potuto alle tue domande. Non capisco il senso della frase "Non sai quanto peso mi tolga ciò!". Ti dispiacerebbe spiegarmelo?

Nemmeno io stimo il resto del testo "pesante", e quanto allo stile lo collocherei entro la prima metà dell'800, non oltre.
Capisco che ti possa piacere produrti in un esercizio metrico desueto, ma ti assicuro che non ti produci meno bene anche quando non fai uso della metrica.


Nessun riferimento è molesto, a mio parere, e dunque nemmeno questo all'eros, riferimento peraltro da te trattato con grande maestria e delicatezza.
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Sara
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Re: Gio R.

Messaggio da Sara »

Gio R. ha scritto:Emerge al fin quieto, immobile, il colle
Il dolce crin or velato or asperso estolle
E mostra di perlaceo velluto il tergo
Docile e languente ove lo sguardo ergo.
Silente monte intorno svelle e muove:
Alza ancora e ancor eleva la mano lieve,
Tende il bel braccio e quanto più candide e nuove
Pose tiene, or più su sé il guizzo è breve.
Ricade il passo ed il respiro preme
Colà ove più teneri i declivi pendono
Così qua le cime allo sfiorar s’arrendono
E l’aria spira e si ritira e freme.
Ecco esser tormentato l’erto fianco
Dell’arcan colle, parte ascoso e parte stanco,
Dal nembo cupo e schivo ed ha simil difetto (aspetto)?
Il van cruccio ond’i’ ragiono e rifletto.



Ora si capisce, giusto? :roll:

Alla seconda parte ci sto pensando: è quella che introduce e spiega il vero proposito per cui ho iniziato il poema. Spero di riuscire a lavorarci in questi giorni (anzi, ormai, in queste notti).

Si capisce ma non mi piace. E' divenuto un fatto "didascalico" e se ne avverte l'intento. Lascialo decantare e riprovaci tra un po' di tempo.
Ciao. :D
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Re: Gio R.

Messaggio da Gio R. »

Mi toglie un peso nel senso che io sono sempre preoccupato di come le cose devonsi fare e come debban venire e qualcuno che mi dice le cose come stanno mi fa del bene: mi toglie molta preoccupazione dalle spalle perché ho un metro esterno, serio, secco sul quale poter lavorare.

In quanto all'eros, non vorrei essere stato in modo alcuno offensivo, tutt'al più io cercavo una dolcezza, languida e malinconica che sta alla montagna, quanto alla bellezza femminile.

Sì, nemmeno a me piace troppo (quel "dal nembo..." soprattutto) però non saprei nemmeno che altro mettere. Credo sia senza uscita. In quanto al "didascalico" invece non saprei che dire: l'intento non è quello, affatto: io voglio solo mostrare quello che sento, e quello che sento è che io ho un cruccio, onde ragione e rifletto, che è paragonabile ad una nube cupa e schiva.

Ecco esser tormentato l’erto fianco
Dell’arcan colle, parte ascoso e parte stanco,
Dal cupo nembo e schivo ed ha simil aspetto
Il van cruccio ond’i’ ragiono e rifletto.


Ecco, così ho tolto il "difetto" che forse era la causa del sentir questa parte come didascalica.
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Re: Gio R.

Messaggio da Sara »

Gio R. ha scritto:Mi toglie un peso nel senso che io sono sempre preoccupato di come le cose devonsi fare e come debban venire e qualcuno che mi dice le cose come stanno mi fa del bene: mi toglie molta preoccupazione dalle spalle perché ho un metro esterno, serio, secco sul quale poter lavorare.

In quanto all'eros, non vorrei essere stato in modo alcuno offensivo, tutt'al più io cercavo una dolcezza, languida e malinconica che sta alla montagna, quanto alla bellezza femminile.

Sì, nemmeno a me piace troppo (quel "dal nembo..." soprattutto) però non saprei nemmeno che altro mettere. Credo sia senza uscita. In quanto al "didascalico" invece non saprei che dire: l'intento non è quello, affatto: io voglio solo mostrare quello che sento, e quello che sento è che io ho un cruccio, onde ragione e rifletto, che è paragonabile ad una nube cupa e schiva.

Ecco esser tormentato l’erto fianco
Dell’arcan colle, parte ascoso e parte stanco,
Dal cupo nembo e schivo ed ha simil aspetto
Il van cruccio ond’i’ ragiono e rifletto.


Ecco, così ho tolto il "difetto" che forse era la causa del sentir questa parte come didascalica.

Giovanni, scrivere deve essere innanzitutto un piacere. ;-)

Non potresti essere offensivo. :-)

Per mero esercizio:

"Ecco esser tormentato dell’arcan colle
l’erto fianco, parte ascoso e parte molle,
Dal cupo nembo e schivo ed ha simil senso
Il van cruccio ond’i’ ragiono e penso."
Gio R.
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Re: Gio R.

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Molto interessante la tua proposta! Ci ragionerò perché non si sa mai che così come tu l'hai scritta, o pur con qualche modifica, io non possa accettarla! :D
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Re: Gio R.

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Sta a vedere che finiremo per scrivere a quattro mani! :lol: :lol: :lol:

E....per augurarti una buona notte, "Notte stellata" di V. Van Gogh
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Re: Gio R.

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Ritornerò al discorso sull'Idillio (termine convenzionale per intenderci), ma prima pubblico la nuova versione di un poema precedentemente lasciato in sospeso: La serpe.


LA SERPE

Fiera vile e verde bestia astiosa
Che ferendo sfreccia, avvelena e caccia
È la serpe, che preda eppur si tien ascosa.
Di tal sorta è l’animo allorché si ghiaccia.

Io, che pur sono legno e sono ascia
Che con coraggiosa fierezza accetta
La serpe contorta che fugge e non aspetta
L’ora che alla nuda mano il destino lascia,

Ho visto nel mio sordo viver greve,
Nei morsi di una ferita cruda,
L’oscura sera ostentata e ignuda
Del reo fremer fragile e breve.

Sera di sanguigno perlata e sdegno:
Sei mortificazione atra e dura
Sei tangibile fitta, cruccio pregno
Di vanità e dell’animo arsura.

Dove volge il tetro e severo patire
Che la linfa mia bramoso sugge e beve?
Che può oprar, a che ciò può or servire?
A qual fine dunque la vita mia deve?
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Re: Gio R.

Messaggio da Sara »

Gio R. ha scritto:Ritornerò al discorso sull'Idillio (termine convenzionale per intenderci), ma prima pubblico la nuova versione di un poema precedentemente lasciato in sospeso: La serpe.


LA SERPE

Fiera vile e verde bestia astiosa
Che ferendo sfreccia, avvelena e caccia
È la serpe, che preda eppur si tien ascosa.
Di tal sorta è l’animo allorché si ghiaccia.

Io, che pur sono legno e sono ascia
Che con coraggiosa fierezza accetta
La serpe contorta che fugge e non aspetta
L’ora che alla nuda mano il destino lascia,

Ho visto nel mio sordo viver greve,
Nei morsi di una ferita cruda,
L’oscura sera ostentata e ignuda
Del reo fremer fragile e breve.

Sera di sanguigno perlata e sdegno:
Sei mortificazione atra e dura
Sei tangibile fitta, cruccio pregno
Di vanità e dell’animo arsura.

Dove volge il tetro e severo patire
Che la linfa mia bramoso sugge e beve?
Che può oprar, a che ciò può or servire?
A qual fine dunque la vita mia deve?
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Re: Gio R.

Messaggio da Gio R. »

Ordunque? Non ho capito la tua risposta... :-?
Ad ogni modo la poesia postata stasera non mi piace molto: è un po' forzata: mi pare di esser tornato agli inizi. Non sono riuscito a rendere il mio solito stile, la mia poetica, le mie intenzioni e intensioni se non nell'ultimo verso e nelle strofe 3 e 4 (e nei vv. 7,8). Il resto è un'accozzaglia di termini pseudo-poetici: un castello linguistico che rassomiglia agli esercizi di stile dei primi poeti italiani, ma che nulla ha di veramente poetico. Sebbene la materia trattata sia intima, non è intimista lo stile perché non fa passare quanto vorrei nel modo toccante che a me piace... è troppo artificioso.
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Re: Gio R.

Messaggio da Sara »

Gio R. ha scritto:Ordunque? Non ho capito la tua risposta... :-?
Ad ogni modo la poesia postata stasera non mi piace molto: è un po' forzata: mi pare di esser tornato agli inizi. Non sono riuscito a rendere il mio solito stile, la mia poetica, le mie intenzioni e intensioni se non nell'ultimo verso e nelle strofe 3 e 4 (e nei vv. 7,8). Il resto è un'accozzaglia di termini pseudo-poetici: un castello linguistico che rassomiglia agli esercizi di stile dei primi poeti italiani, ma che nulla ha di veramente poetico. Sebbene la materia trattata sia intima, non è intimista lo stile perché non fa passare quanto vorrei nel modo toccante che a me piace... è troppo artificioso.

Ehi ehi ehi......calma! Non essere così tremendamente autocritico. 8-)

La notte appena trascorsa non avevo il tempo necessario per scrivere un commento come tu chiedi e mi sono limitata a evidenziare con due colori diversi tre passaggi (avrai notato che i colori sono due e non uno solo o tre). Con il fucsia ho reso evidenti i passaggi che mi sono piaciuti e con il celeste quello che non mi è piaciuto. In quest'ultimo c'è infatti un bisticcio di accenti che suona alquanto sgradevole alle orecchie. Perché parlo di orecchie e perché attribuisco tanta importanza al fatto che la poesia debba "suonare" alla stregua di uno strumento musicale accordato? E' presto detto: perché la poesia io la vivo leggendola a voce alta e lasciando che siano le mie orecchie a decidere che cosa c'è di intonato e cosa di stonato. E nello stile che tu hai scelto per esprimerti è più facile che in altri cogliere le stonature di cui parlo.
Infine, quell' "Io, che pur son legno e sono ascia" è metafora splendida.


A' bientôt.
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